A sostegno della tesi che vuole Amalfi come la prima città ad aver introdotto tale tipo di lavorazione si schierano autorevoli storici come Matteo Camera il quale nel volume “Istoria della Città e Costiera di Amalfi” scriveva “Egli è indubitato che la manifattura della carta da scrivere, sia di papiro o della così detta bambagina, risale al XIII secolo fra noi; ed essa fu lungamente una delle principali industrie di Amalfi.”
Senza voler entrare nel merito di una così nobile contesa quello che è importante sapere è che ad Amalfi si sviluppò una vera e propria industria cartaria che vide in breve tempo nascere e svilupparsi innumerevoli cartiere che hanno contribuito a rendere questo paese famoso in tutto il mondo per la sua pregiata produzione cartaria. La maggior parte delle Cartiere furono impiantate lungo la Valle dei Mulini.
La suggestiva valle è stata descritta e decantata da scrittori, come Henry Longfellow, e ritratta da artisti di ogni tempo, come l’Amalfitano Pietro Scoppetta, il cui acquerello si ammira nel museo di Capodimonte di Napoli. Questa la descrizione che ne dava ai primi dell’ottocento lo scrittore Karl Friedrich: “Condutture di acqua sorgono lungo il pendio sotto la roccia che inarca come una grotta, o sono aderenti alla parete della roccia.
I letti dei fiumi sono spesso coperti da larghi pergolati di viti. All’ultimo angolo la valle sembra essere chiusa da un edificio a più piani di una fabbrica, dove si produce la carta”. Attraverso questa valle scorre il fiume Canneto, sorgente dai monti Lattari, che attraverso una serie di canali sotterranei che corrono parallelamente ma distintamente al corso naturale del fiume costituiva la forza motrice dei macchinari necessari per la produzione della carta.
L’epoca d’oro
All’epoca della formazione del catasto onciario, che costituisce la più interessante e in pari tempo, almeno finora, la più completa documentazione per il 1700, erano in attività nel centro cittadino 11 cartiere della capacità di 83 pile (vasca di pietra in cui si pestavano i cenci per farne carta). Alcune di esse erano dei grandi complessi, con “spandituri” (locali con ampie finestre e numerose fenditure, adibiti all’essiccamento della carta disposta su filari longitudinali); altre invece di più modeste dimensioni.La materia prima impiegata per la produzione di carta erano gli stracci, che oltre ad essere raccolti nelle strade delle contrade limitrofe ad Amalfi, veniva anche da fuori.
Si ha notizia di numerosi carichi provenienti dalla capitale di “roba straccia”, “pezza bianca” ed altro, che all’atto dell’immissione erano soggetti al pagamento di 5 grani a cantaro o di 5 tornesi, se provenienti dalla capitale, a titolo di “ius peso e mezzo peso” alla dogana baronale di Amalfi.
Le cartiere per la loro ubicazione erano soggette ai danni delle alluvioni nei mesi piovosi, e alla mancanza di acqua in quelli di siccità. Nel primo caso, l’acqua con cui lavoravano si accompagnava a detriti; nel secondo, la scarsa quantità di acqua non era sufficiente “a battere tutte le pile” e quindi era necessaria una turnazione. Le complesse e gravi vicissitudini storico – politico – sociali e soprattutto l’industrializzazione diedero un fortissimo colpo a questa, come alle altre piccole industrie amalfitane, che non poterono stare al passo dei tempi.
Il declino
Al lento, ma progressivo declino influirono diverse cause: la ubicazione della Valle dei Mulini, suggestiva quanto mai, ma aspra e ristretta e, quindi, mancante di facili vie di comunicazione, mediante un reticolato stradale o ferroviario con i grandi centri; la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e dello smercio del prodotto, non competitivo con quello di altre più moderne ed attrezzate industrie; la mancanza di acque abbondanti dei fiumi a regime costante, fattore questo dominante per l’alimentazione delle fabbriche e il mancato ammodernamento delle attrezzature. Queste deprimenti cause costrinsero diverse cartiere a smettere il lavoro.
Dello stato molto critico e difficile, si fecero interpreti alcuni lavoratori con una supplica al Re per implorare aiuto. Egli rispondeva in questi termini: “Le lacrime dei nostri figli, proprio della bassa gente…..giungono ormai a Noi….Le tante macchine che l’uomo usurpatore e perspicace ha saputo inventare e ne inventa tutto dì, sono quelle che tolgono pane dalla bocca dei nostri fedeli sudditi nell’intero Regno …”.
Nonostante tante difficoltà, i cartai amalfitani, impiegando spirito di sacrificio, tenace volontà e laboriosità, continuarono la produzione in virtù soprattutto della tradizione. generazione in generazione, da padre in figlio, conservando sempre quella intraprendenza insita nel loro carattere. L’ultimo e tremendo colpo al tracollo dell’industria cartaria fu la catastrofica alluvione del novembre 1954. Essa distrusse la maggior parte delle cartiere. Delle sedici ancora in attività all’epoca della catastrofe ad Amalfi, ne rimasero soltanto tre. Quella di Amalfi non è stata, né poteva essere una media o grande industria; ma ha avuto sin dalle origini, il carattere di artigianato, come in altri campi, di una industria per lo più familiare e proprio questo è vanto e maggior titolo dei cartai di ieri e oggi. Si ha notizia di numerosi carichi provenienti dalla capitale di “roba straccia”, “pezza bianca” ed altro, che all’atto dell’immissione erano soggetti al pagamento di 5 grani a cantaro o di 5 tornesi, se provenienti dalla capitale, a titolo di “ius peso e mezzo peso” alla dogana baronale di Amalfi.