Quello che andiamo ad illustrare è il procedimento con cui si produceva nella Cartiera Milano il foglio di carta a mano del tipo denominato “bombycina o bambagina o bambacina”.
I cenci che s’impiegavano nella fabbricazione della carta a mano potevano essere di lino, di cotone di canapa, di iuta: esclusi quelli di origine animale, e di seta, sia per la rigidezza delle loro fibre, che mal si prestava a far carta, sia perché nell’operazione di lisciviazione si alteravano e distruggevano. Gli stracci avendo le fibre pressoché libere da incrostazioni, la loro trasformazione in pasta non richiedeva che una pulitura e una distruzione del tessuto per isolarne le fibre. Nella trasformazione dei cenci in carta la prima operazione che veniva svolta era la loro pulizia a cui seguiva la tagliatura a mano e nello stesso tempo la separazione da rattoppi, cuciture, orli, bottoni, tutte quelle parti rigide e dure che potevano danneggiare oltre che il prodotto anche le macchine.
Terminata questa prima fase vi era la lisciviazione, in apposite vasche.
Lo scopo era di liberare gli stracci dalle impurità come le sostanze grasse che non si potevano allontanare diversamente. Compiuta la lisciviazione si procedeva alla lavatura degli stessi per liberarli dal liscivio e dalle altre impurità che non si fossero ancora allontanate. A questo lavaggio seguiva la sfilacciatura la cui funzione era di distruggere ogni traccia di tessuto senza però che i filamenti venissero tagliati. Questo trattamento serviva da preparazione ad un altro lavoro, la raffinazione nella quale questi filamenti erano a loro volta ridotti in fibre atte a far carta. La massa filamentosa che si otteneva con la sfilacciatura si chiamava sfilacciato o mezza pasta, in contrapposto alla tutta pasta che si otteneva con la raffinazione che avveniva grazie ad enormi magli in legno che battevano e trituravano gli stracci precedentemente raccolti in pile in pietra.
L’impasto ottenuto diluito con acqua era pronto per la lavorazione.La tutta pasta veniva prelevata con appositi attingitoi in legno e immersa nel Tino (vasca rivestita internamente di maioliche). Il cartaro immergeva nel tino un telaio il cui fondo formato da una rete metallica a maglie strette raccoglieva una quantità di pasta, distribuendola in una forma; colata l’acqua restava un sottile strato di materiale.
Il foglio di carta veniva poi riposto su un feltro di lana detto pontone e ricoperto a sua volta da un altro feltro. I fogli venivano poi accatastati insieme e sottoposti ad una pressa per l’eliminazione dell’acqua residua. Ultima fase di lavorazione della carta consisteva nel portare la carta ad asciugare in appositi spanditoi.